lunedì 11 aprile 2011

A farla corta

30 dicembre 2008
A farla corta.








Lo sanno anche sui bricchi.
Nel senso che la usano, sta parola.
Sui bricchi non c'è mica l'aia, c'è la cort (pronuncia curt) il cortile. Ora non so voi, ma a me è capitato che a scuola l'inno di Mameli me l'hanno anche insegnato.
E spiegato.
Che se non te lo spiegano, alle elementari puoi non capirci granchè, e magari pensare che desta sia un tè d'estate (il destatè) o che l'elmo di Scipio sia un copricapo particolare del Gundam.
Ora l'inno, con tutto che dicono non sia granchè, quando lo sento cantare, che ci canto dietro anche io, magari solo sottovoce, a me vengono i lucciconi.
Sarà l'età.
Da un po' di tempo provo altre emozioni. Mi ci imbufalisco al punto che spengo il tivù. Ed ora spiego il perchè. Tutto bene fino al cambio di tono sulla seconda strofa. Quella che comincia con:

Stringiamci a ....

Ora lo so che strimgiamci non si usa mica tanto, sarebbe stringiamoci, ma se la metrica nol consente, essendo il verso un senario (sei sillabe) e dato che stringiamoci a ne porta via già quattro (strin-gia-mo-cia *), mentre stringiamci a ne vale solo tre (strin-giam-cia), bisognerà che stringiamo quello stringiamoci, ecco.
Ora mi direte: che c'entra la metrica? C'entra, si. Facciamo sei meno tre, ne restano tre per finire il verso. Se faccio sei meno quattro, ne rimangono solo due. E con due sillabe coorte non ci sta: co-or-te: tre sillabe.
E loro (quelli che lo cantano a squarciagola in tivù) quelli non dicono stringiamci a, urlano stringiamoci a. E quindi si spiega il corte, che è più corto di una sillaba rispetto a coorte: cor-te.
Quindi la cantatina diventa: stringiamoci a corte.
Che invece è stringiamci a coorte.
Io però mi rifiuto di pensare che quelli che la cantano stiano pensando al cortile, dai. Quelli pensano alla corte, quella del Re insomma. Ora con tutto che la monarchia in italia c'è anche stata, mi rifiuto anche qui di pensare che quelli che la urlano negli stadi credano che il Mameli si riferisse alla corte dei Savoia. Il Mameli era un garibaldino, mica un monarchico: lui ha scritto COORTE. Che sarebbe (è stata) un'unità tattica dell'esercito romano. Presenti le coorti di legionari che se la smazzavano in Francia (allora Gallia)?
Ed il senso è: stringiamoci, raggruppiamoci in formazione e prepariamoci alla pugna (al combattimento), siamo una coorte ed un manipolo di italiani con las bolas, tant'è che siamo pronti a morire.
Ora lascio in pace gli urlatori nel cortile e mi viene in mente una riflessione depri..mente.
Non è che, visti i tempi e l'andazzo culturalpopolare, basta che lo cantino, e chissenefrega di quello che cantano?
Non è che, visto che le parole hanno perso di significato, se una roba è appena decente diventa mitica,
se (speriamo mai più) in un incidente ne muoiono due è subito strage, se uno ne ha bevuto mezzo di troppo da allegrotto diventa sbronzo perso, e se uno va sull'isola torna da eroe?
Cioè, allora, perchè non la belagigugin? Sull'aria del Mameli?
Che sarebbe anche più allegra, dai.
P:S.: quelli che la cantano, secondo me, non hanno mica pensato a starci in sei sillabe in quel verso lì. Sono convinti di stringersi a corte, nel cortile. Magari grande. Magari come un campo di calcio.



* Noticina superflua, ma visto che ci sono: nella conta delle sillabe due vocali vicine, anche di due parole, si fondono in una sola sillaba (fanno dittongo) mentre le due o di coorte (iato) restano separate.
Proprio per distinguere corte da coorte.

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